Il punto di vista scientifico

Riflessioni sul successo mondiale del canto

Il professor Gottfried Kasparek, drammaturgo e scrittore musicale di Salisburgo, è il direttore artistico del programma musicale estivo “Diabelli-Sommer” a Mattsee. In occasione del secondo centenario di “Stille Nacht! Heilige Nacht!”, ha preso in esame il famoso canto natalizio alla ricerca degli ingredienti che compongono il suo fascino. Sottrarsi alla sua magia è quasi impossibile, e i motivi sono alquanto interessanti.

A Vienna, quand’ero bambino, si cantava insieme “Stille Nacht! Heilige Nacht!” sotto l’albero di Natale prima di accogliere la benedizione natalizia. Quel canto faceva parte della festa e ne fa parte ancor oggi. Un bel canto che esiste semplicemente e trasmette gioia, persino se l’interpretazione lascia a desiderare. Io, per esempio, ho ancora nelle orecchie la voce baritonale di mio padre, rauca e troppo alta. Ma non fa niente, la melodia riesce a tollerarla. Più tardi a Salisburgo, venni affascinato da una versione originale, a quattro voci, con trio d’archi, due corni e organo. Era stata scritta da Franz Xaver Gruber, che fece in tempo a conoscere il successo mondiale della sua geniale melodia quando era musicista per la chiesa di Hallein. Aveva trasformato il semplice canto in una raffinata e lieve cantata classica.

Mohr aveva scritto il testo già nel 1816, a Mariapfarr nel Lungau. La melodia invece deve la sua origine a una richiesta del parroco. Il canto eseguito per la prima volta nella Notte Santa del 1818 da Mohr e da Gruber, con voce da basso, accompagnati dalla chitarra, divenne uno dei maggiori successi nella storia della musica. L’uomo che poco più tardi giunse a riparare l’organo,  portò con sé quel canto fino in Tirolo, nella valle Zillertal, che ancor oggi appartiene all’arcidiocesi di Salisburgo. In quella valle, a Fügen, si cominciò a cantare “Stille Nacht! Heilige Nacht!” già dal Natale 1819. I cantori popolari della Zillertal diffusero la fama del canto nel Vecchio e ben presto anche nel Nuovo Mondo. In tante versioni. Anche Gruber ne scrisse varie versioni diverse. Ma ciò che conta è la sostanza.

Si tratta di una semplice ninna nanna dal lento ritmo siciliano, a cui si attribuisce tenerezza e una dolce malinconia. In epoca barocca e classica questo ritmo venne utilizzato spesso per idilli pastorali e altre musiche, non solo sacre ma anche molto profane. Nel “Flauto magico” di Mozart, per esempio, Pamina canta così la sua meravigliosa aria di rimpianto per l’amore che lei crede perduto. Joseph Haydn invece lo utilizza nel suo oratorio “Die Schöpfung” (La creazione)  per lodare la primavera. Gruber conosceva certamente il fraseggio sacro siciliano, grazie al suo lavoro quotidiano nelle chiese di Arnsdorf e Oberndorf, e forse lo aveva già incontrato anche in J.S. Bach, nei fratelli Haydn o in Mozart. I predecessori erano certamente numerosi, ma il testo e la musica furono opera originale di Mohr e Gruber.

Il canto è in lingua tedesca, la melodia è popolare nella migliore accezione del termine. Il ritmo ha origine dalle zampogne dei pastori siciliani. Il testo è facilmente traducibile. Anche chi crede in altre religioni oppure è ateo non può sottrarsi al fascino di questa composizione meditativa. Le ragioni sono da ricercare nel fatto che in essa si rispecchia la forza della vicenda natalizia in semplici parole e note, e che la musica non assume toni trionfanti ma dolcemente toccanti. Questo canto sa commuovere alcune persone fino alle lacrime, e ciò per via del ritmo che suggerisce malinconia.  Anche Pamina piange mentre canta con questo ritmo. Altre persone invece reagiscono con un sorriso felice. Ma si può ridere anche tra le lacrime. Non si tratta di un canto rigido e liturgico, è piuttosto un canto d’amore per un bambino appena nato. Un canto di pace, pieno di sonora spiritualità che attraversa i confini degli uomini e anche quelli del tempo. È patrimonio di tutti coloro che nel mondo sono animati da buona volontà.

(Riflessioni del professor Gottfried Kasparek)

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